Come gestire il fallimento in un’epoca che sembra non contemplarlo più?
“Il successo non è mai definitivo, il fallimento non è mai fatale; è il coraggio di continuare che conta.”
Sir Winston Churchill
È una domanda che emerge inevitabile nella vita di ogni persona: come gestire il fallimento? Questo perché – quasi inutile precisarlo – costituisce una parte della vita di tutti, e come un detto piuttosto comune ricorda: ‘solo chi non fa non sbaglia mai.’
Eppure, la società in cui viviamo sembra tesa a comunicare che il fallimento sia qualcosa da cui fuggire. Qualcosa di cui dobbiamo incolparci o comunque sempre il frutto di un errore che non dovrebbe riguardare chi è ‘in gamba’.
Quella odierna è definibile come una ‘cultura della prestazione’: veniamo giudicati positivamente in base ai nostri successi. Ma, soprattutto, veniamo giudicati negativamente per i nostri fallimenti, errori o battute d’arresto. Non è raro ad esempio trovarsi di fronte a situazioni familiari dove i figli che hanno conquistato un buon voto non ricevono alcuna gratificazione dai genitori o dagli insegnanti. Come mai? Perché ‘hanno semplicemente fatto il loro dovere’. Dall’altra parte, invece, se prendono un brutto voto diventano oggetto di critiche e rimproveri.
A ciò si aggiunga il dilagare di una parte della sfera pubblica delle persone sui social network. Da questi il continuo confronto, con l’ostentazione di successi e di un’esistenza totalmente sotto controllo. È chiaro che si tratta di un utilizzo di convenienza e mirato a dare un’immagine di sé perfetta. Un’immagine lontana anni luce dalla realtà. Eppure, non di rado questo fa sentire spaesati, smarriti, o in qualche modo mancanti. In poche parole, se non siamo all’altezza di determinati standard, anche se essi non vengono posti da noi ma dal mondo esterno, ci sentiamo dei falliti.
Va ricordato infatti che gli individui non si confrontano mai con degli eventi in quanto tali, ma con i significati che a essi attribuiscono, viene da sé che molto spesso quello che è un fallimento per qualcuno può non esserlo per qualcun altro.
Come gestire il fallimento
Il fallimento ci fa così paura perché ci fa sentire impotenti, sbagliati, come se avessimo deluso le aspettative, che siano queste personali o della società. Ma allora come conciliare la consapevolezza che fallire, prima o poi, è inevitabile, con la motivazione primaria a evitare qualsiasi genere di fallimento, perché convinti che esso proverebbe il nostro scarso valore?
Per prima cosa può essere utile esercitarsi nell’attribuzione causale degli eventi. Bisogna imparare, in parole povere, a fare conti con il fatto che a volte otterremo un risultato inferiore alle aspettative: non tutto dipende sempre da noi.
È molto importante imparare a distinguere di volta in volta gli elementi che possiamo controllare – ad esempio la gestione del nostro studio, del nostro impegno sul lavoro o anche nelle relazioni – da quelli che non possiamo controllare – il datore di lavoro a cui gira male, lo sciopero dei mezzi che ci impedisce di entrare in tempo per l’esame, la persona amata che non ci ricambia. Non ha senso impegnarsi, struggersi o incolparsi se non per quello che possiamo effettivamente modificare.
Nuovi obiettivi in vista
Oltre alla responsabilità percepita, si può lavorare anche sul tipo di obiettivi che ci si pone. Obiettivi espressi in positivo, misurabili e scanditi nel tempo favoriscono la motivazione e la riuscita. È molto diverso dire a se stessi che si vuole “riuscire a fare x”, piuttosto che “evitare che succeda y”. Nel tempo, dovremmo imparare a considerare il fallimento in maniera più circoscritta: non definisce chi siamo, e fallire in qualcosa oggi non necessariamente ci precluderà qualcosa domani.
Come ricorda Massimo Recalcati (2011), la psicoanalisi tende a rifuggire ‘l’elogio della prestazione’ tipico delle società iper-moderne, in favore di un ‘elogio del fallimento’. La giovinezza in particolar modo dovrebbe essere il tempo in cui il fallimento è consentito, anzi incoraggiato, poiché è necessario perdersi, dubitare, prendere decisioni sbagliate. Solo così si può trovare la propria strada. Di contro, se si utilizza il fallimento come metro di giudizio unico del proprio valore, sottovalutando anche informazioni contrastanti, non ci si permetterà di crescere in alcun modo.
Gestire ciò che si può gestire
La cosa più importante è lavorare su ciò che è sotto il proprio controllo, tenendo sempre a mente che l’esperienza negativa fa parte della vita e piuttosto che rifuggirla a tutti i costi, bisognerebbe imparare ad accettarla per quello che è, capendo di volta in volta che insegnamento possiamo trarne.
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Dott. Pietro Zingaretti, Ph.D. Neuroscienze, Psicologo clinico, Psicodiagnosta clinico e forense, Cofondatore dello Studio di Psicoanalisi Castelli Romani.